Eccone le precise parole. Il barbiere di primo slancio disse al Piazza, che passava avanti la bottega "Vi ho poi da dare non so che; io gli dissi, che cosa era? ed egli rispose: è un non so che unto; ed io dissi: verrò poi a torlo; e così da lì a tre dì me lo diede poi". Questo è il principio del romanzo. Va avanti. Dice il Piazza, che allora che gli fece tal proposizione vi erano "tre o quattro persone, ma io adesso non ho memoria chi fossero, però m'informerò da uno che era in mia compagnia chiamato Matteo che fa il fruttarolo e che vende gambari in Carrobio, quale io manderò a dimandare, che lui mi saprà dire chi erano quelli che erano con detto barbiere". Chi mai crederà, che in tal guisa alla presenza di quattro testimonj si formino così atroci congiure! Eppure allora si credette:
I. Che la peste, che si sapeva venuta dalla Valtellina, fosse opera di veleni fabbricati in Milano
II. Che si possano fabbricar veleni, che dopo essere stati all'aria aperta, al solo contatto diano la morte.
III. Che se tai veleni si dessero, possa un uomo impunemente maneggiarli.
IV. Che si possa nel cuore umano formare il desiderio di uccidere gli uomini così a caso.
V. Che un uomo, quando fosse colpevole di tal chimera, resterebbe spensierato dopo la vociferazione di due giorni, e si lascerebbe far prigione.
VI. Che il compositore di tal supposto veleno, in vece di sporcarne da sé le muraglie, cercasse superfluamente de' complici.
VII. Che per trascegliere un complice di tale abbominazione, gettasse l'occhio sopra un uomo appena conosciuto.
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Piazza Piazza Matteo Carrobio Valtellina Milano
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