Lo sterco e il ranno non bastavano a dar la morte: egli inventa la saliva degli appestati; poi proseguendo le interrogazioni e le risposte, dice il Mora che ebbe dal commissario Piazza per il peso di una libbra di quella materia della bocca degli appestati e la versò nella caldaja, e che gliela diede per fare quella composizione onde si ammalassero molte persone, e avrebbe lavorato il commissario, e col suo elettuario avrebbe guadagnato molto il barbiere. Conclude col dire che questo concerto fu fatto, "trattandosi così tra noi ne discorressimo".
Il Piazza che aveva levata l'impunità non diceva niente di tutto ciò. Anzi diceva di essere stato invitato dal Mora. Come mai raccogliere clandestinamente tanta bava per una libbra? Come raccoglierla senza contrarre la peste? Come riporla nella caldaja, onde la moglie, i teneri incauti figli si appestassero? Come conservarla dopo le solenni procedure, e lasciarsi un simil corpo di delitto? Come sperar guadagno vendendo l'elettuario: mancavano forse ammalati in quel tempo? Non si può concepire un romanzo più tristo e più assurdo. Pure tutto si credeva, purché fosse atroce e conforme alle funeste passioni de que' tempi infelici. Il giorno vegnente, cioè il primo di luglio fu chiamato il Mora all'esame per intendere "se ha cosa alcuna da aggiungere all'esame e confessione sua che fece jeri. dopo che fu omesso da tormentare", ed ei rispose: "Signor no, che non ho cosa da aggiungervi, ed ho più presto cosa da sminuire". Che cosa poi avesse da sminuire lo rispose all'interrogazione: "Quell'unguento che ho detto non ne ho fatto mica, e quello che ho detto, l'ho detto per i tormenti" A tale proposizione fugli minacciato, che se si ritrattava dalla verità detta il giorno avanti.
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