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      Egli poi era un padre di famiglia con moglie e figli, e non un ozioso e vagabondo, del quale si potesse far scelta per un simile orrore. Sin qui a forza di tormenti e di minacce si è trovato modo di far coincidere i due romanzi, e costringere il contraddicente a confermare la favola di chi aveva parlato prima. Vengono ora in campo da questa risposta due cose affatto nuove. Una si è che il barbiere promettesse "una quantità di danari"; l'altra si è che in questo affare vi entrasse "una persona grande": né l'una né l'altra era stata detta dal Mora. Si pose dunque nuovamente all'esame il Mora. Interrogato se egli avesse promesso una quantità di danari al Piazza, rispose il Mora nel quinto esame del giorno 2 luglio 1630: "Signor no; e dove vuole V. S. che piglimi questa quantità di danari?". Allora gli venne detto dal giudice quanto risultava in processo e sui danari e sulla persona grande, e si redarguì perché dicesse la verità. Rispose il Mora queste parole: "V. S. non vuol già se non la verità, e la verità io l'ho già detta quando sono stato tormentato, e ho detto anche d'avvantaggio"; dal quale fine si vede come l'infelice avrebbe pure ritrattata tutta la funesta favola pronunziata, se non avesse temuto nuovi tormenti: "e ho dettoanche d'avvantaggio"! Questo "anche" più chiaramente lo disse allorché ai due di luglio furongli dati i reati, e stabilito il breve termine di due soli giorni per fare le sue difese; sul qual proposito si legge in processo che il protettore de' carcerati disse al notajo così: "Per obbedienza sono stato dal signor presidente, e gli ho parlato; sono anco stato dal Mora, il quale mi ha detto liberamente che non ha fallato, e che quello l'ha detto per i tormenti; e perché io gli ho detto liberamente, che non voleva, né poteva sostenere questo carico di difenderlo, mi ha detto che almeno il sig. presidente sia servito di provvederlo di un difensore, e che non voglia permettere che abbia da morire indifeso": da che si vedono più cose, cioè che il Mora teneva per certo di dover morire, e tutta la ferocia del fanatismo che lo circondava doveva averlo bastantemente persuaso; che, sebbene tenesse per certa la morte, liberamente diceva di avere mentito per i tormenti; e che finalmente il furore era giunto al segno, che si credeva un'azione cattiva e disonorante il difendere questa disgraziata vittima, posto che il protettore diceva di non volere, né potere assumersene l'incarico.


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Osservazioni sulla tortura
di Pietro Verri
1804 pagine 93

   





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