Il cavaliere Padilla si trovò che nel tempo, in cui si diceva che in Milano avesse formato e diretto questo attentato, egli era a Mortara e altre terre del Piemonte, ove combatteva alla testa della sua compagnia in difesa di questo stato. Merita di essere trascritta la risposta ch'ei fece in processo quando fu costituito reo di queste unzioni. Così egli dice: "Io mi maraviglio molto che il senato sia venuto a risoluzione così grande, vedendosi e trovandosi che questa è una mera impostura e falsità fatta non solo a me, ma alla giustizia istessa". Ed aveva ben ragione di dirlo, perché dalla narrativa istessa del reato appariva la grossolana impostura. "Come", proseguì esso cavaliere, "un uomo di mia qualità, che ho speso la vita in servizio di S. M., in difesa di questo stato, nato da uomini che hanno fatto lo stesso, avevo io da fare, né pensare cosa che a loro e a me portasse tanta nota di infamia? E torno a dire che questo è falso, ed è la più grande impostura che ad uomo sia mai stata fatta." Questa risposta, detta nel calore di un sentimento, è forse il solo tratto nobile che si legga in tutto l'infelice volume che ho esaminato. Il delitto non parla certamente un tal linguaggio, e il cavalier Padilla era sicuramente assai al dissopra del livello de' suoi giudici e del suo tempo.
La serie del delitto contestato al cavaliere di Padilla Si ricava dalla narrazione medesima del reato, e vi si scorge il sugo de' romanzi forzatamente creati colla tortura: io ne compilerò l'estratto semplicemente, giacché troppo riuscirebbe di tedio l'intiera narrazione, e porrò in margine le osservazioni opportune.
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