Nam plerique patientia, sive duritia tormentorum illa tormenta contemnunt, ut exprimi eis veritas nullo modo possit; alii tanta sunt impatientia, ut quodvis mentiri, quam pati tormento velint. Così si esprime positivamente il Digesto, e tale era l'opinione de' Romani nostri legislatori e maestri, i quali conoscevano l'uso della tortura sopra gli schiavi, siccome vedremo poi. Dunque la legge non risguarda la tortura come un mezzo per la scoperta della verità
Io però ho asserito di più che non solamente la legge, ma nemmeno la pratica criminale considera la tortura per un mezzo d'avere la verità. Pare questo un paradosso, eppure io credo di poterlo evidentemente dimostrare.
Primieramente, se i dottori risguardassero la tortura con un mezzo per iscoprire la verità nei delitti, non escluderebbe se medesimi dall'essere torturati, poiché è tale l'interesse dell'umana società che i delitti si scoprano, che nessuno può essere sottratto dai mezzi di scoprirli; in quella guisa che nessuno sottratto de' dottori dalla pena di morte, esiglio ecc., ogni qualvolta co' suoi delitti l'abbia meritata. Io perdonerò se ciascun cerchi di rialzare il proprio mestiero, e non mi farà maraviglia che il Wesembeccio dica che i dottori sono per dignità eguali ai nobili e decurioni, e per meriti eguali ai militari: Doctores nobilibus et decurionibus dignitate, militibus autem meritis aequiparantur; ma non sarebbe perdonabile alcuno, che osasse dare alla propria facoltà una impunità nei delitti. Se adunque i nobili e i dottori sono privilegiati per la tortura, segno è che non viene essa dai criminalisti considerata come un mezzo per avere la verità.
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Digesto Romani Wesembeccio Doctores
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