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      Egli guidava una moltitudine di armati, che dagli scrittori si fa ascendere a cinquecentomila e più uomini. Gl'Italiani erano una nazione che, da conquistatrice, passò ad essere colta, e dalla coltura erasi degradata alla mollezza; e una schiera di arditi selvaggi non può temere resistenza da una nazione corrotta, a meno che non vi supplisca la organizzazione ingegnosa del governo; e questa, dopo i lunghi disordini dell'Impero, affatto mancava. Il più rapido mezzo per acquistare le ricchezze d'una città si è il diroccarla; e così intendiamo come Attila, mosso dalle insinuazioni del sommo pontefice san Leone, abbandonasse l'Italia subito dopo fattane la preda. Il ritratto che tutti gli storici fanno di questo generale è odiosissimo. Egli è vero però che nessuno fra questi storici è Unno, o Gepida, o Alano, o Erulo. Pochi conquistatori la storia ci ricorda che in così breve tempo siansi cotanto estesi. Egli era sommamente riverito da' suoi, e temuto dovunque. Se gli Americani avessero scritti i fatti di Ferdinando Cortez, noi non conosceremmo di lui che i soli vizi esagerati. Ciò non ostante Attila fu un barbaro, che devastò depredando alla testa di ladroni, non lasciando che rovine e miserie dovunque passò. I Romani vincevano, perdonavano, erudivano, beneficavano.
      Le sciagure cagionate da questa funestissima incursione diedero nascimento a Venezia. Gli abitatori di Aquileia, di Padova e di Verona, dopo quest'ultima incursione de' barbari, memori delle precedute, cercarono un asilo, e lo trovarono sopra di alcune isolette dell'Adriatico.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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