Se noi risguardiamo questi due illustri cittadini come arcivescovi, certamente dobbiamo confessare che essi non professarono quella dolce mansuetudine e quel distacco dalle cose mondane che formano la base delle virtù di un ecclesiastico: ma se gli risguardiamo come due cittadini ricchissimi, costituiti in una eminente dignità, che, profittando delle occasioni, sacrificarono le ricchezze, il riposo, e cimentarono valorosamente la vita per la gloria e l'amore della patria, che ad essi debbe il suo risorgimento, siamo costretti a ricordarli con una tenera venerazione. Ariberto era stato creato arcivescovo nel 1018, e nel corso di ventisette anni ch'egli occupò questa sede, Milano diventò la città precipua della Lombardia, e in questo primato si mantenne poi sempre in appresso. Da Uraja ad Ariberto passarono appunto i cinque secoli di depressione per Milano. Ariberto da Antimiano era, nel 1007, suddiacono della santa chiesa milanese, cioè cardinalis de ordine, dal che ne venne il vocabolo di ordinario, nome che conservano tuttavia i canonici maggiori della metropolitana. Egli era allora custode della chiesa di Galliano, che era capo di pieve in quel tempo. Cinque anni dopo che fu fatto arcivescovo, eresse uno spedale pe' poveri al luogo ove trovavansi, non ha guari, le monache Turchine, lo dotò di molti e vasti poderi propri: de nostris proprietatibus, come egli dice, e assegnò il fondo per mantenervi ad assisterlo e regolarlo dodici monaci, i quali dovessero osservare la regola di san Benedetto120. Sanno gli eruditi che i monaci allora erano subordinati all'arcivescovo di Milano, come ogni altro ecclesiastico121, e che i monasteri per lo più avevano uno spedale vicino, in cui dai monaci si albergavano e nodrivano i poveri.
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