Quanto sappiam di certo si è che quell'augusto ben tosto portossi a Pavia, dove l'arcivescovo Ariberto lo raggiunse. Ma, sia che quell'augusto avesse attribuito ad Ariberto la poca sicurezza ritrovata in Milano, sia che l'arcivescovo usasse di un tuono poco rispettoso e sommesso, la storia c'insegna che Ariberto ivi fu arrestato, e sotto buona scorta trasportato a Piacenza prigioniero. Io non trovo difficiltà a credere che realmente Ariberto non fosse contento che in Milano soggiornasse un uomo maggiore di lui; che egli indirettamente potesse aver fomentata la licenza del popolo per farne partire l'imperatore; e che, confidando sull'autorità che possedeva, o sulla illusione del principe, si presentasse a lui a Pavia con sicurezza. A custodire il prigioniero Ariberto l'imperatore aveva destinati i suoi più fidi, ai quali l'arcivescovo offrì una lauta cena, abbondante singolarmente di scelti vini. I custodi cedettero alla ghiottoneria, e la secondarono sino alla ubbriachezza; e questo era appunto lo stato al quale aveva pensato di ridurli l'arcivescovo per sottrarsi, come fece, alla loro custodia. Così egli ricuperò la sua libertà, e cautamente portossi a Milano, accolto dalla città con somma allegrezza. Poiché Corrado intese il fatto, si mosse, e alla testa de' suoi s'accostò a Milano per farne l'assedio, ad oggetto singolarmente di riavere l'arcivescovo in suo potere; ma i tempi erano assai cambiati. Milano non era più la città spopolata, distrutta e languente; era maxima multitudine munita,136 come ci attesta Wippo; e i Milanesi gli andarono incontro, e più volte si azzuffarono con gl'imperiali.
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