Non si può a meno di non compiangere con san Pietro Damiano la misera condizione di que' tempi, e consolarci nel vedere i sacri ministri dell'altare de' giorni nostri ben diversi, col loro esempio insegnando al popolo la riverenza che si deve al santuario, e colla loro mansuetudine allontanandolo dal perseguitare i nostri fratelli sotto pretesto di religione. Pare che in quel secolo infelice la religione, in vece di contenere le malvagie passioni degli uomini, da essi fosse sfrontatamente adoperata, servendosene di pretesto per farvi un più libero corso.
Il re Enrico venne in Italia; portossi a Roma; depose varii che si dicevano sommi pontefici; e fece eleggere dal clero o dal popolo Svidger, sassone, ch'egli aveva al suo seguito condotto a Roma. Nel giorno medesimo in cui Enrico fece incoronare papa Svidger col nome di Clemente II, Clemente II incoronò imperatore Enrico. Così quel sovrano, coll'assoluta sua autorità, eleggeva il papa e l'arcivescovo, e aveva annientato il potere de' sacri canoni e la libertà dell'ecclesiastiche elezioni. Da ciò nacquero le discordie, che durarono per secoli, a separare i cristiani in due partiti, gli uni a favore della sovranità, gli altri a favore della libertà ecclesiastica; e se questo furore di partito finalmente nella vita civile è tolto, ne rimane però sempre qualche seme, almeno presso degli scrittori che ne raccontano la storia. Non può, a mio parere, imputarsi a delitto se i vescovi, vedendo soggetta la loro città a un sovrano elettivo, indifferente per lo più al ben essere del suo popolo; vedendo il saccheggio, la rapina, la miseria essere diventati lo stato naturale e costante della città; non si può, dico, imputar loro a delitto, se, adoperando le pingui loro rendite per ripararne le mura, per assicurarne la difesa, con questo mezzo acquistarono la rispettosa riconoscenza del loro popolo.
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