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      Non però ammetteva al sacerdozio coloro che fossero passati a seconde nozze, ovvero avessero presa per moglie una vedova. Non si proibiva poi che un sacerdote, rimasto vedovo, passasse a nuove nozze; ma gli restava sempre interdetto l'esercizio delle funzioni sacerdotali. Pretendevano i nostri sacerdoti che tale fosse il patrio rito sino dai tempi di sant'Agostino, il quale, come nella forma del Battesimo e in altra parte della liturgia aveva adottata la pratica della chiesa greca, così ne avesse accettata anche la disciplina, che accorda il matrimonio ai sacerdoti. Questa opinione è stata contrastata con molta erudizione dal nostro Puricelli in una sua dissertazione, in cui volle provare non avere mai sant'Ambrogio permesso il matrimonio ai sacerdoti154. Citavano allora i nostri ecclesiastici un testo del santo dottore del suo primo libro de officiis ministrorum155, con queste parole: De monogamia sacerdotum quid loquar? quum una tantum permittitur copula, et non repetita; et haec lex est non iterare conjugium156. Ma questo passo ora si legge così: De castimonia autem quid loquar, quando una tantum nec repetita permittitur copula. Et in ipso ergo conjugio lex est non iterare conjugium157. Non consta nemmeno che gl'impugnatori del matrimonio de' sacerdoti allora accusassero di malafede i nostri sacerdoti, che pubblicamente si appoggiavano a quella testimonianza; anzi in un'aringa pubblica si pretese allora che la seguente fosse dottrina di sant'Ambrogio: Virtutum autem magister apostolus est, qui cum patientia redarguendos docet et contradicentes, qui unius uxoris virum praecipiat esse, non quod exortem excludat conjugii, nam hoc supra legem praecepti est, sed ut conjugali castimonia fruatur absolutionis suae gratia; nulla enim culpa coniugii, sed lex.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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