(1066) Il ritorno di Erlembaldo da Roma portò la fermentazione all'ultimo periodo. Ciò avvenne l'anno 1066; quando, giunto in Milano, ei presentò all'arcivescovo Guidone le bolle della scomunica pronunciata dal papa. L'arcivescovo colse l'opportunità del vicino giorno solenne della Pentecoste, e poiché radunato fu gran numero di gente nella chiesa, vi comparve l'arcivescovo colle bolle in mano; e con esse riscaldò il popolo animandolo a non soffrire l'ingiuria che si faceva alla chiesa ambrosiana. Il tumulto scoppiò nel tempio del Dio della mansuetudine. Si venne ad una zuffa ai piedi dell'altare. Arialdo, che era nella chiesa, venne assalito, percosso, e rimase a terra creduto morto. L'arcivescovo dovette soffrire delle violenze, e la scena terminò colla sentenza d'interdetto che l'arcivescovo pronunziò sulla città, proibendo il celebrarvi i divini misterii, sintanto che non uscissero dalla città i novatori. Il consiglio pubblico si unì coll'arcivescovo, e impose la pena di morte a chi ardisse nemmeno di suonar le campane, sin che durava l'interdetto. Allora Arialdo ed Erlembaldo si ricoverarono fuori della città, ed Arialdo fu preso e ucciso al lago Maggiore, e così nel 1066 terminò la sua predicazione; da martire secondo alcuni, appoggiati al fatto di Alessandro II, il quale un anno dopo la sua morte lo ascrisse nel numero de' santi218; e con fama diversa secondo altri, i quali, vedendo che nessun culto offre la chiesa ad Arialdo, considerano quell'autorità come l'opinione d'un privato dottore, che rimase isolata, in tempi ne' quali si trascuravano i giudizi lunghi e minuti che presentemente si fanno precedere.
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