In quel concilio si pronunziava l'esecrazione contro della simonia; e del matrimonio degli ecclesiastici non si parla: Sicut a sanctis patribus statutum legimus, simoniacam haeresim in sacris ordinibus, et in ecclesiarum beneficiis execramus, et ab ecclesia radicitus extirpare per omnia volumus232; così leggesi in quegli atti. Delle due riforme la più facile certamente non era quella di far abbandonare le mogli ai sacerdoti; anzi quella sola fu impugnata. Del pagamento che facevasi per le ordinazioni, non ne venne nemmeno fatta difficoltà per abolirlo. O dunque questa legge contro la simonia è stata allora fatta, dappoiché in pratica erasi abolita la tassa, unicamente per avvalorare sempre più la riforma; e in tal caso non si sarebbe ommessa una dichiarazione uguale, sul non meno importante articolo del celibato, per rinfiancarne la perpetua osservanza, se già si era ciò ottenuto: ovvero la legge contro la simonia vogliam dire che supponesse ancora quella vigente; ed allora dovremmo supporre, essersi disimpegnato senza strepito alcuno l'oggetto intralciatissimo dei matrimoni, prima che si abolisse una tassa, che poi non era difficile l'abolire; e che il concilio nessun pensiero si prendesse del pericolo che la opinione tanto ostinatamente sostenuta pochi anni prima, ritornasse a prender partito, il che non mi pare verisimile. Il silenzio adunque di quel concilio sembra indicare una tolleranza per allora su quel punto di disciplina. Anzi mi sembra di ravvisare in quel concilio una legge che tende indirettamente al celibato degli ecclesiastici; quella cioè con cui si proibisce che nessun ecclesiastico possa godere qualsivoglia beneficio, se prima non rinunzia a quanto possiede di suo patrimonio.
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Sicut
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