Se poi il racconto fosse imitato da Landolfo dall'altra favola toscana, per vanità di raccontare cose prodigiose, e per farsi nipote di un taumaturgo, allora ne sarebbe ancora più semplice la spiegazione. Né sarà questa un'accusa troppo severa che noi faremo all'ingenuità di questo storico, il quale ci vuol far credere che un angelo sia venuto ad avvertirlo, che il di lui zio Liprando era ammalato: Mihi angelus occurrit dicens: presbyter Liprandus, rediens a Valtellina, infirmus jacet ad monasterium de Clivate260: asserzione sul proposito della quale saggiamente riflette il nostro conte Giulini, che sarebbe stato desiderabile che lo storico ci avesse additato i segni pe' quali egli s'avvide con tanta sicurezza, che quello era un angelo261. Tutti i nostri autori però, ciecamente appoggiati all'asserzione del solo Landolfo, hanno creduto vero un tal prodigio; e nemmeno il nostro conte Giulini si è voluto segregare. Sarebbe stato veramente desiderabile che avessero seguìta l'opinione piuttosto dei vescovi suffraganei e della plebe, che ne fu spettatrice. Ma il meraviglioso seduce; non si ha coraggio di affrontare una lunga tradizione per annunciare la verità, i di cui dritti non si prescrivono giammai; ed è costretta la storia a raccontare di tali inezie, qualora sieno generalmente credute.
Per otto anni ancora, dopo il raccontato prodigio, continuò l'arcivescovo Grossolano a conservare la sua dignità, sebbene con un partito contrario. Il papa lo considerò arcivescovo legittimo, e non cessò d'esserlo, se non quando, portatosi egli, nel 1111, a Costantinopoli, se gli elesse in Milano un successore.
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