Così la indipendenza della repubblica di Milano si andò rinfiancando.
La città di Milano, divenuta opulenta e popolata nel secolo duodecimo, naturalmente doveva offrire agi migliori ad ogni cittadino. Non si discorreva più di adoperare per companatico il lardo, come vedemmo al capitolo quarto; ma pretendevano i canonici di Sant'Ambrogio che un abate, in certo giorno di solennità, desse loro un pranzo con tre imbandigioni, ed erano queste: in prima appositione, pullos frigidos, gambas de vino, et carnem porcinam frigidam: in secunda, pullos plenos, carnem vaccinam cum piperata, et turtellam de lavezolo: in tertia, pullos rostidos, lombolos cum panitio, et porcellos plenos280; sorta di vivande che non ha saputo indicare cosa fossero l'erudito nostro conte Giulini281, e che molto meno potrei io spiegare. Bastano però queste per dimostrare che si viveva con una sorta di abbondanza. Fra le cerimonie religiose vi era quella che il parroco andasse a lustrare coll'acqua benedetta la casa da cui si era trasportato un morto; e che al Natale il parroco girasse per le case del suo distretto coll'incensiere a profumarle. Quando si contraevano sponsalia de futuro282, cioè quando si faceva la promessa del matrimonio, si regalava alla sposa un anello, ovvero una corona, o un cinto, ovvero una veste o un drappo, ovvero un zendado; e qualora il matrimonio poi non si dovesse più fare, se lo sposo aveva dato un bacio alla sposa, non si doveva a lui restituire se non la metà del regalo: Si nomine sponsalitiorum annulus, vel corona, vel cingulum, vel quid simile, seu amictum, vel pallium, vel zendadum detur; matrimonio non secuto, medietas redditur si osculum intercesserit283; così le consuetudini di Milano dell'anno 1216. Dello stato delle lettere in quei barbari tempi pochissimo se ne può dire.
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