Prima di innoltrarsi nel Milanese fece intimare alla città un termine perentorio a presentare le discolpe, se ne aveva. Non volle dare un gastigo senza una sentenza, né una sentenza senza un giudizio, né un giudizio senza una citazione. Vennero i legati di Milano a questa formalità. L'eloquenza e i doni furono inefficaci; e la sentenza dichiarolli pubblici nemici. Così, pagando questo facile tributo alla manìa del secolo, che in Italia singolarmente aveva riscaldati gli animi nello studio del Codice e delle Pandette di Giustiniano, rese sacra in certo qual modo la vendetta e interessate più che mai le città nostre nemiche a favorire la rovina di Milano. Poich'ebbe data Federico la sentenza, si rivolse al Milanese, e, affacciatosi a Cassano per passar l'Adda, trovò il ponte così bene presidiato dai Milanesi, che non ardì superarlo. Gl'Imperiali tentarono il guado verso Corneliano: alcuni perirono nel fiume; ma però un buon drappello di militi si postò sulla sponda destra del fiume. Per lo che i nostri che trovavansi alla custodia del ponte, dovettero abbandonarlo, per non vedersi a un tempo stesso assaliti di fronte e al fianco; e si ricoverarono in Milano. L'esercito imperiale s'incamminò a passare sul ponte, il quale si ruppe, non sappiamo se a caso, con qualche danno dell'esercito. Questi avvenimenti, anche minuti, meritano luogo nella storia; poiché fanno conoscere che la guerra non si faceva con un cieco impeto, ma con arte e consiglio anche in que' tempi. Un errore però commisero allora i nostri, e fu quello di collocare un presidio nella torre dell'Arco Romano, di cui ho data notizia nel capitolo primo.
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