Al comparire del nuovo giorno più non rimaneva che o la morte o la prigionia ai pochi Milanesi. Essi profittarono dell'errore che gli Imperiali commisero, col lasciare un lato scoperto, e per quello unitamente si salvarono. Prima però spogliarono il carroccio del gran vessillo, e lo fecero in pezzi; giacché non era possibile il trasportarlo. Se furono biasimevoli i Milanesi per essersi tanto incautamente avventurati a fronte di un nemico superiore di molto, essi però meritano stima per aver combattuto senza limite in una situazione nella quale non sarebbe stata viltà il deporre le armi, come fece, a Maxen nella Sassonia un grosso corpo di Prussiani che appunto aveva l'Elba alle spalle, e dalle armi imperiali austriache si trovò attorniato in novembre dell'anno 1759. I nemici, al comparire del giorno, viddero con sorpresa che la preda era sfuggita. La disfatta de' Milanesi però a Cortenova fu un oggetto grande. L'imperatore Federico II certamente se ne gloriò con molto fasto. Il Martene ci ha conservata la lettera che quell'Augusto ne scrisse a Federico, duca di Lorena, in cui lo informa che fra morti e prigionieri si contavano diecimila de' nostri418; e lo stesso autore ci ha conservata la lettera che l'imperatore scrisse al senato e popolo romano, al quale trasmise i rottami del nostro carroccio: Antiquos namque in hoc recolimus Caesares, dice l'imperatore, quibus ob res praeclaras victricibus signis gestas, senatus populusque romanus triumphos et laureas decernebant, ad quod, per praesens nostrae Serenitatis exemplum, vias votis vestris a longe praeparamus, dum, devicto Mediolano, currum civitatis, utique factionis Italiae principis, ad vos victorum hostium praedam et spolia destinamus, arrham vobis magnalium nostrorum et gloriae vestrae praemittimus419. Da questo fatto si raccoglie di quanta considerazione fosse Milano in que' tempi, factionis Italiae civitas princeps420.
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