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      Detto ciò, volle abbandonare l'adunanza, affine di lasciare un'intera libertà alle opinioni di ciascuno. Con tale accorgimento Matteo si rendeva affezionata la città; credendosi libero il volgo, pago dell'apparenza e dei nomi; e credendosi considerati i pochi avveduti, per l'artificio medesimo che adoperava colui che aveva il potere nelle mani. La determinazione del consiglio fu, di confermare per altri cinque anni Matteo Visconte capitano del popolo, colla facoltà di fare la guerra o la pace a suo piacimento. Il credito di Matteo era tale, che i Veneziani e i Genovesi lo scelsero per arbitro d'una loro contestazione, ch'egli terminò; e quasi tutta la Lombardia si reggeva da lui. Alla moderazione e prudenza aggiungeva Matteo la liberalità pubblica. (1300) L'anno 1300 egli ammogliò Galeazzo, suo primogenito, con Beatrice d'Este, sorella di Azzone VIII, signore di Modena e Reggio e marchese di Ferrara. Lo sposo era più giovine della sposa. Galeazzo aveva ventitré anni, e Beatrice trentadue. Fra le singolari pompe che diede Matteo all'occasione di queste nozze illustri, per otto giorni vi fu corte bandita, cioè cibo e bevanda per chiunque la volesse; e alla mensa nuziale sedettero mille convitati, vestiti tutti in abito uniforme a spese della comunità di Milano. Per conciliarsi la corte di Roma, Matteo lasciava che il papa Bonifacio VIII regolasse e disponesse della chiesa milanese a suo libero arbitrio, eleggendo i candidati per qualunque beneficio, e dando ordine ai regolari senza saputa dell'arcivescovo; in somma comandando senza limite quanto voleva nella gerarchia ecclesiastica.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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