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      Cosa gli debbo io? Qual ragione può egli aver mai per togliermi il mio? Perché non ci difendiamo noi dunque?" Cercarono di calmarlo i signori del congresso, e fu concluso che, dovendo il re entrare nell'Italia per la strada di Savoia, siccome aveva egli disposto, nulla pregiudicava il lasciarlo avanzare sino al Piemonte; che ivi poi alcuni di essi sarebbergli andati incontro, ed esaminando più da vicino quali pretensioni avesse quel sovrano, o avrebbero fatte le scuse per gli assenti, qualora mite e benevolo lo trovassero; ovvero avrebbero avvisati gli amici lontani per l'opportuno concerto, quando mai avessero ravvisato lui disposto a contrastare la loro autorità. Guido fu costretto ad accontentarsi di questo complimento; e il congresso fu sciolto con una determinazione che da una parte doveva alienare l'animo del nuovo augusto da questi piccoli principi, e dall'altra nessuna precauzione preparava per mettersi al coperto dei danni che poteva loro cagionare. Guido non misurava l'indipendenza sua colle sue forze. Proibì che nessuno in Milano nominasse Enrico da Lucemburgo, o ragionasse della venuta d'un nuovo imperatore. I vassalli s'erano allestiti per andare incontro al nuovo cesare, e Guido proibì loro l'uscire dalla città.
      Il re Enrico, verso la fine di ottobre dell'anno 1310, venne a Susa, d'onde passò a Torino, indi ad Asti. Egli aveva seco la regina Margherita sua moglie, principessa d'una bellissima figura; conduceva seco molti principi tedeschi e francesi, e lo accompagnavano mille arcieri e mille uomini d'arme.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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