Guido della Torre, per non rimanere solo, s'indusse egli pure ad uscire; e fu degli ultimi. A misura che il re s'andava accostando alla città, cresceva il numero de' Milanesi che gli rendevano omaggio. I signori cavalcavano, secondo l'uso di que' tempi, col loro scudiere, che portava innalberata la loro insegna; e a misura che compariva il re, le insegne si abbassavano per riverenza. Presso le porte, al fine della città, comparve Guido della Torre, preceduto dal podestà, che in quell'anno era Ricuperato Rivola, bergamasco. Il podestà umilmente presentò al re il bastone del comando, ch'era il distintivo della sua dignità; il re lo prese, indi graziosamente glielo riconsegnò. Guido della Torre teneva immobilmente innalberato il suo stendardo; e alcuni del seguito del re de' Romani, ragionevolmente sdegnati di questo inopportuno orgoglio, si scagliarono sullo scudiero, glielo strapparono dalle mani e lo gettarono nel fango. Sconcertata così ogni pretensione di Guido, scese da cavallo, e umiliatosi al re, baciogli il piede, siccome allora era il costume. Il saggio Enrico allora lo accolse con bontà, e con paterno amichevole tuono gli disse: sia d'ora innanzi fedele e paciflco; questo è il solo buon partito che ti resta da prendere.
Resosi per tal modo padrone di Milano, Enrico di Lucemburgo, andò ad alloggiare nel palazzo, ove sta oggidì la real corte, il quale era signorilmente fabbricato per l'uso di que' tempi. Questa entrata del re in Milano accadde il giorno 23 dicembre 1310. La prima cosa che ordinò Enrico fu: che fra le due famiglie Visconti e della Torre vi fosse una perpetua pace; che le cose passate nemmeno più si potessero nominare; che da quel punto ogni fazione si'ntendesse proscritta ed abolita per sempre; che i fuorusciti liberamente ritornassero tutti nel seno della loro patria, e fossero repristinati nel godimento de' loro beni.
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