Nel primo caso un ribelle che non aveva sovranità o Stati, fu sconfitto da un principe che dominava dieci città; nel secondo una povera città, che aveva sofferto i mali estremi, sconfisse un potentissimo imperatore che avea fatto tremare la Germania, l'Italia e la Polonia. Nel primo caso si combatté per ubbidire più ad Azzone che a Lodrisio; nel secondo si combatté per essere liberi, o per essere schiavi. Pare certamente che meritasse celebrità assai maggiore la giornata 29 di maggio. Ma la fortuna ha molta parte nel distribuire la celebrità. È vero che una nascente repubblica nel secolo duodecimo non aveva né l'ambizione né i mezzi che poteva avere un gran principe nel secolo decimoquarto, per tramandare ai posteri un'epoca gloriosa.
Le dieci città sulle quali dominava Azzone Visconti erano Milano, Pavia, Cremona, Lodi, Como, Bergamo, Brescia, Vigevano, Vercelli e Piacenza. Oltre le fabbriche pubbliche, delle mura, de' ponti, delle strade, questo principe rifabbricò ed ornò, in modo meraviglioso per que' tempi, il palazzo già innalzato dal di lui avo Matteo I, dove ora sta la regia ducal corte. Il Fiamma, autore allora vivente, ce ne dà una magnifica idea. V'era un gran numero di sale e di stanze, tutte fregiate di assai pregevoli pitture. Il gran salone era sopra tutto ammirato per le pitture eccellenti; il fondo era d'un bellissimo azzurro; e le figure e l'architettura erano d'oro. Quel salone rappresentava il tempio della Gloria, ed è strana la riunione degli eroi che vi si vedevano dipinti; Ettore ed Attila; Carlomagno ed Enea; Ercole ed Azzone Visconti.
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