Sin qui ho rappresentato in compendio le buone qualità di Luchino, ora l'imparzialità storica mi obbliga a dirne ancora i vizi. Francesco Pusterla, nobile ed onorato cittadino non solo, ma uno de' più amabili, più ricchi e più splendidi signori di Milano, aveva in moglie la signora Margherita Visconti, parente del sovrano, donna di esimia grazia e bellezza. Luchino pensò di sedurla, come aveva fatto a Piacenza colla signora Bianchina Landi il di lui fratello Galeazzo I; ma trovò la fedeltà istessa e lo stesso amore verso lo sposo anche nella virtuosa Margherita. La tela era già ordita per far soffrire a Luchino il destino medesimo di Galeazzo; se non che il cauto e sospettoso Luchino fu pronto a scoprirla e lacerarla. Tutto era disposto per discacciare con una rivoluzione questo principe dal suo trono, e si dubita che i di lui nipoti Matteo, Barnabò e Galeazzo fossero complici. Ma Luchino prese talmente le sue misure, che Francesco Pusterla, fautor principale della congiura, appena ebbe tempo bastante di salvarsi colla fuga, e di ricoverarsi presso del papa in Avignone. Fin qui si vede un vizio di questo principe; ma in seguito si manifesta un'iniquità bassa ed atroce. Non risparmiò spesa o cura Luchino per attorniare in Avignone istesso il Pusterla d'insidie e di consiglieri, i quali, con simulata amicizia, lo animassero a ritornare nell'Italia, persuadendogli che presso dei Pisani avrebbe trovato un sicurissimo asilo, e si sarebbe collocato più vicino alla patria per rientrarvi ad ogni opportunità. Furono tanto moltiplicati i consigli, e tanto apparenti le ragioni, che alla fine il Pusterla si arrese, s'imbarcò, e per mare si trasferì a Pisa; ove arrestato venne dai Pisani, che temevano le armi di Luchino, e a lui fu consegnato.
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