Avemmo un medico che compose le pandette della medicina, dedicate al re di Napoli Roberto. Questi si chiamava Matteo Selvatico, milanese, che scrisse l'anno 1317. Quel libro si stampò a Venezia l'anno 1498. Un altro Milanese ebbe nome presso dei giusperiti, cioè Signorollo Omodeo, le opere del quale non sono ignote ai forensi. Ma di bella letteratura non ne abbiamo vestigio alcuno. Uno de' più antichi poeti italiani fu Pietro da Bescapè, nostro milanese. Egli scrisse i suoi versi nell'anno 1264, nel quale pretese di tradurre in poesia la storia del Vecchio Testamento. L'autore così comincia:
Como Deo a facto lo mondo,
E como la terra fo lo homo formo.
Cum el descendè ce cel in terraIn la Vergine Regal polzella,
E cum el sostenè passionPer nostra grande salvation,
E cum verà el dì del iraLa o sarà la grande roina
Al peccator darà gramezaLo justo avrà grande alegreza,
Ben è raxon ke l'omo intendaDe que traita sta legenda.
Il fine di questo canto, poema o diceria, qualunque si voglia chiamare, è ancora più rozzo del principio, e così termina:
Petro de Bescapè, ke era un Fanton,
Si a facto sto sermon,
Si il compilò e si la scripto.
Ad onor de Ihu Xpo
In mille duxento sexanta quattroQuesto libro si fo facto,
Et de junio si era lo premier dì
Quando questo libro se finì,
Et era in seconda dictionIn un venerdì abbassando lo sol
L'antico manoscritto trovasi nella scelta libreria del signor conte Archinto. Non più felice del Bescapè fu il nostro frate Bonvicino da Ripa, i di cui poveri versi si trovano nella biblioteca Ambrosiana, fra i quali vedesi, che fino dall'anno 1291 si conoscevano quei versi che nei tempi a noi vicini si chiamarono Martelliani.
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