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      Barnabò pensava come l'imperatore Federico I, e sarebbe nato a proposito, se fosse stato suo contemporaneo e suo nemico. In mezzo alle guerre fra le quali visse, una volta sola Barnabò comparve in campo, e fu l'anno 1363, nel quale si portò sul Modanese alla testa de' suoi. Egli era intrepido, e fu ferito; ma questo non basta per essere un buon capitano: venne sempre battuto. Barnabò era violento, coraggioso e feroce; ma di poco ingegno. Per richiamare intorno di sé i militi sparsi nello Stato, e riparare le perdite che faceva, ei mandò loro ordine che immediatamente si portassero da lui nel Modanese sotto pena della vita. Da questo modo barbaro di comandare minacciando la morte, si deve concludere, o che Barnabò non aveva avuto il talento di scegliere i suoi militi e di formarli, poiché conveniva minacciar loro la morte per indurgli ad accostarsi al nemico, ovvero che Barnabò non aveva il talento di comandare la gente d'onore e sensibile alla gloria, la quale si aliena anzi, trattata colle minacce e con viltà. Sempre in quella spedizione Barnabò fu battuto.
      Se riguardiamo adunque Barnabò Visconti come principe e signore potente, dobbiamo confessare che egli non meritò stima alcuna; poiché la porzione sulla quale ei regnò venne diminuita colla perdita di Bologna, delle terre del Bolognese, della Romagna e del Modanese, ch'egli aveva ereditate dall'arcivescovo Giovanni. Egli con puerili e feroci insulti animò i suoi nemici, e non ebbe forze abbastanza per difendersi. Osserviamolo come legislatore del suo popolo e conservatore della felicità pubblica.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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