Indi andarono gli sposi a Vienna; e da queste nozze discende l'augusto sovrano, che ora, per nostra felicità, domina su questo Stato. Chi bramasse più minute notizie di queste memorabili nozze (per le quali il sangue de' Visconti, sublimato a più elevata condizione, e depurato colla virtù e colla beneficenza di quattro secoli, trovasi attualmente sul trono, dal quale i Milanesi ricevon legge) vegga il nostro conte Giulini, che ne ha pubblicati i monumenti sinora inediti.
A fronte d'uno zio terribile, stavasene circospetto ed attentissimo il conte di Virtù. Milano, siccome dissi, era divisa in due padroni: Galeazzo II possedeva il castello di Porta Giovia, cioè il castello che ancora in parte internamente sussiste; e Barnabò possedeva un altro castello alla torre di Porta Romana, di cui veggonsi anco oggidì le vestigia dalla parte del Naviglio. Il conte di Virtù stavasene in Pavia: era una volpe che addocchiava destramente il vecchio leone. Mostrava il giovine conte di Virtù d'essere timido, irresoluto, debole in ogni sua azione. Bramava d'imprimere nell'animo di Barnabò tale opinione, che, considerandolo egli giovane da nulla ed incapace d'intraprendere un colpo ardito, nemmeno pensasse a tenersi difeso; e tanto seppe dissimulare in ogni azione, anche domestica, tanto attento fu nel rapportare il meschino personaggio propostosi, che ingannò supinamente lo zio, quantunque avesse giorno e notte al suo fianco Catterina Visconti, figlia di Barnabò, da Galeazzo sposata, sebben cugina, dopo la morte di Isabella di Francia, sua prima moglie.
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