Sarebbe stato difficile in que' tempi il conservare illesa la dominazione, quand'anche il ducato di Milano fosse stato un principato antico, consolidato dalla opinione de' popoli, e la duchessa vedova tutrice fosse stata d'animo bastantemente elevato ed energico per sostenere il peso del governo. Ma oltre i mali inseparabili dalla minorità, lo Stato era un recente aggregato di conquiste, di usurpazioni, di compre; e nessun altro titolo v'era per convincere i popoli della legittimità della nuova dominazione, che la forza. Un diploma comprato da un debole e deposto imperatore, le male arti, le insidie e la più vergognosa mancanza di fede, questi erano i titoli che doveva far valere la vedova duchessa Catterina, donna avvilita d'animo; perché, per lo spazio di ventidue anni, costretta a soffocare colla dissimulazione il rammarico della rovina di suo padre e de' suoi fratelli, oppressi da quello stesso uomo ch'ella vedeasi giacere al suo fianco la notte, e al quale doveva simulare stima ed affetto. L'orrore del suo misero stato aveva ridotta la vedova principessa affatto incapace di reggere alla testa di una tale sovranità; ed all'animo abbattuto dalla lunga ed uniforme sofferenza de' mali, s'aggiugneva un colpo d'apoplessia già sofferto, che la rendeva ancora più inetta agli affari. I due giovani principi non avevano alcun prossimo congiunto che potesse reggere lo Stato; non un Consiglio appoggiato alla costituzione. La loro rovina era inevitabile. La reggenza cominciò coll'unione di alcuni generali e di alcuni cortigiani, i quali pretesero di formare il Consiglio, presso cui stava la sovranità, sotto il nome del duca Giovanni Maria.
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