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      (1418) Così il duca, da Beatrice Tenda, ottenne la ricuperata sovranità di Milano, Pavia, Lodi, Como, Vigevano, Alessandria, Tortona e Novara; e da queste otto città e dall'armata ebbe i mezzi per dilatare nuovamente i confini dello Stato, siccome fece. Doveva il duca venerare la sua benefattrice più della stessa sua madre. A lei doveva tutto, persino l'esistenza, che gli sarebbe sicuramente stata levata, se non aveva il di lei soccorso. Essa con tutto ciò soffrì il trattamento di essere (malgrado l'età sua e la sua virtù) dal marito incolpata d'avergli violata la fede per un giovine cavaliere, nominato Michele Orombello, che era al di lei servizio. Questo giovine era veramente di amabile aspetto e di pari maniere; e talvolta la duchessa passava qualche ora con minore noia, facendolo suonare il liuto. Volle il duca che venisse imprigionata in Binasco l'infelice Beatrice Tenda; e il non meno disgraziato cavaliere fu parimenti posto nei ferri. Si fecero soffrire ventiquattro strappate di corda alla duchessa, come ci narra il Corio629. Furono condannati e l'una e l'altro a perdere la testa sotto la scure; il che si eseguì in Binasco nell'infausta notte susseguente al giorno 13 di settembre dell'anno 1418. Il Corio ci attesta che, per liberarsi dagli strazi della tortura, la duchessa incolpasse se medesima; ma poi, in presenza degli ecclesiastici che l'accompagnarono al patibolo, prima di sottoporvi il capo, chiamasse Iddio in testimonio dell'incolpabile sua innocenza. Ci dice il Biglia che il giovine Orombello, lusingato di potere sfuggire il supplicio calunniando la duchessa, preferisse la vita alla virtù, sebbene in fine perdesse e l'una e l'altra; e che la duchessa, avanti il patibolo, da donna forte e virtuosa, rimproverasse la vile colpa all'Orombello, e protestando la innocenza propria, chiamandone testimonio Iddio, piegasse il capo alla mannaia.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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