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      Tutto il commercio colle Indie Orientali si faceva dagl'Italiani in quei tempi, anteriori alla scoperta del Capo di Buona Speranza. Venezia, Genova, Pisa, Firenze, Amalfi ed Ancona avevano l'impero de' mari, e quasi esse sole giravano non solamente il Mediterraneo, ma l'Oceano, e portavano le loro merci persino al Baltico; così che tutto il commercio dell'Europa era presso gl'Italiani. Le leggi amalfitane erano la base del gius marittimo. Venezia sola manteneva trentaseimila marinari646; numero sterminato per quel secolo, nel quale non s'intraprendevano viaggi di lungo corso, e la nautica non era ridotta alla perfezione attuale. Milano trasmetteva a Venezia i pannilani che da noi si fabbricavano, e riceveva da Venezia cotone, lana, drappi d'oro e di seta, droghe, legni da tingere, sapone, sali ed altre mercanzie. Queste mercanzie, che ricevevamo da Venezia in gran parte le spedivamo alla Francia, agli Svizzeri ed all'Impero, unitamente alle armature ed altri lavori. Il nerbo principale della nostra industria consisteva nella fabbrica de' pannilani e degli usberghi, scudi, lance ecc. Abbiamo un prezioso documento su tal proposito che merita esame, e questo è lo scritto di Marino Sanuto, che il Muratori, nostro maestro, ha tratto dalla biblioteca Estense e dato in luce647. Il Sanuto scrisse le vite di alcuni dogi di Venezia, e riferisce l'aringa fatta nel gran consiglio dal doge Tommaso Mocenigo. Quello scrittore era posteriore di poco, ma asserì di avere trascritto i fatti dal libro dell'illustre messer Tommaso Mocenigo, doge di Venezia, d'alcuni aringhi fatti per dar risposta agli ambasciatori de' Fiorentini, che richiedevano di far lega colla signoria contro il duca Filippo Maria di Milano nel 1420. Il doge opinava che non convenisse ai Veneziani di rompere la pace col duca; ed in prova dimostrava l'utilità esimia che ridondava al commercio di Venezia dalla corrispondenza con Milano.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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