Presa una volta Brescia, non potevano più i Veneziani conservare Bergamo né Lodi, né altra parte delle loro conquiste. I nostri repubblicani allora cominciarono più che mai a temere, forse più de' nemici, il loro capitano generale; il quale se riusciva, come era probabile di rendersi padrone di Brescia, l'avrebbe acquistata per se medesimo, siccome aveva fatto di Piacenza; e per tal modo cerchiando Milano, l'avrebbe costretta, non che a rendersi, a impetrare la di lui dominazione. Si spedirono adunque ordini al conte, comandandogli che non altrimenti s'innoltrasse a Brescia, ma si portasse a Caravaggio e facesse sloggiare i Veneti da quel borgo. Il conte ubbidì. Nella sua armata eravi il Piccinino, generale emulo e nemico del conte: le operazioni militari o s'eseguivano lentamente, ovvero venivano attraversate: si lasciava penuriare il campo dello Sforza d'ogni sorta di foraggi e di viveri: l'armata veneziana che stavagli di fronte, era di dodicimila e cinquecento cavalli, oltre i fantaccini. Con tanti disavvantaggi egli venne a una giornata, che rese memorabile il 14 settembre 1448; poiché nei contorni di Mozzanica venne il conte còlto dai Veneziani talmente all'improvviso, che nemmeno ebbe tempo di armarsi compiutamente; onde si pose a comandare e diresse l'azione mancandogli i bracciali. L'insidiosa emulazione fu quella che rese inoperosi i drappelli di osservazione che egli aveva postati verso del nemico, il quale perciò poté cadere con sorpresa sull'armata del conte. V'erano, siccome dissi, il Piccinino ed altri sotto i di lui ordini, generali di cattivo animo.
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