Il conte, mezzo disarmato, espose più volte se stesso al più forte della mischia, riconducendo i fuggitivi all'attacco, animando colla voce e coll'esempio i soldati; in somma tanto gloriosa fu quella giornata pel conte Francesco, che interamente disfece i Veneti, e tanti furono i prigionieri che ei fece, che fu costretto a congedarli per mancanza di vettovaglia. Vennero portate in Milano con una specie di trionfo le insegne di san Marco tolte ai nemici; e Luigi Bosso e Pietro Cotta, che erano al campo dello Sforza commissari, entrarono in Milano colle medesime, conducendo i più illustri prigionieri, fra i quali un Dandolo ed un Rangone.
Questa vittoria di Mozzanica dava sempre maggior motivo di temere lo Sforza; e il Piccinino, generale di credito, nemico del conte, cercava di accrescere il popolar timore, fors'anco sulla speranza di acquistare per se medesimo poi quella sovranità che ora faceva comparire esosa ed esecranda662. Giorgio Lampugnano era, fra i più accreditati Milanesi, quegli che non si stancava di tenere animata la plebe contro del conte, rammentando i mali sofferti sotto i duchi, le gravezze imposte da' principi, le violenze esercitate dai cortigiani e favoriti. Ricordava la demolizione del castello di Milano, come un motivo per cui il conte avrebbe esercitata la vendetta su quanti vi ebbero parte; anzi come una cagione di nuovi aggravii, obbligandoci a riedificarlo con dispendio e scorno, ponendoci in bocca il freno, dopo che ci avesse fatti sudare nella fucina a formarlo.
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