Il discorso del Panigarola commosse gli animi; ma più ancora erano commosse le menti del senato dalle lettere che andava scrivendo il nobil uomo Marcello, il quale, per commissione della Repubblica, stava al fianco del conte. Testimonio della prudenza e del grand'animo del conte Sforza, ammiratore della imperturbabile fermezza di lui negli avvenimenti prosperi e avversi; vedendo la benevolenza somma che avevano per lui i soldati, non meno che i suoi sudditi, colpito continuamente dalla superiorità de' talenti suoi nel mestiere dell'armi, andava esso Marcello colle sue lettere intimorendo il senato, parendogli facil cosa che, poiché lo Sforza avesse acquistato Milano, pensasse poi a riunire le membra del ducato, e ricuperando Brescia, Vicenza e fors'anche Padova, ritornasse ad occupare quanto settantadue anni prima era soggetto al conte di Virtù, primo duca. Queste circostanze produssero l'effetto che: primieramente, i Veneziani trascurarono di spedire i convenuti soccorsi al conte; e gli stipendiari loro, che servivano nell'armata di lui, cambiando costume, più non volevano concorrere od esporsi; indi, senz'altro, abbandonarono il campo. Non faceva mestieri di tanto, perché il conte s'avvedesse del cambiamento de' Veneziani; i quali, per mezzo di Pasquale Malipiero, fecergli noto avere la loro repubblica fatta la pace coi Milanesi. Le condizioni erano, che tutto lo spazio compreso fra l'Adda, il Ticino e il Po rimanesse della repubblica di Milano, trattane Pavia, che si sarebbe lasciata al conte; e il rimanente dello Stato posseduto dal duca Filippo Maria passasse al conte Francesco Sforza.
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