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      Egli nel suo discorso fece vedere che la fame minacciava a giorni la morte; che né il papa né il re Alfonso né il duca di Savoia avevano mezzi per salvarci al momento, come chiedeva l'urgente necessità; che non rimaneva altro partito da scegliere che o i Veneziani o il conte. Sudditi de' Veneziani, non potevamo aspettarci se non che il destino d'una città secondaria e provinciale, sotto una dominazione che avrebbe temuta la nostra prosperità. Sotto del conte, valoroso, umano, benefico, nostro concittadino per la moglie, non dovevamo aspettarci un signore, ma un padre saggio, provvido, amoroso, da cui si sarebbe posto rimedio a' nostri mali. (1450) Il partito per il conte prevalse per acclamazione, e si spedì tosto ad avvisarlo666. Due mesi prima che la città si rendesse allo Sforza, si pubblicò in Milano un proclama, col premio di diecimila zecchini a chi avesse ammazzato il conte Sforza, o mortalmente ferito667. Così gl'imbecilli nostri legislatori si mostravano insensibili alla virtù, ignoranti della ragion delle genti, indegni per ogni modo di comandare agli uomini. Il conte Francesco Sforza teneva in tanta disciplina le sue truppe, che vietò loro di non offendere per niun modo le terre o le persone de' Milanesi, come si scorge dagli archivi dì città668. Ma i nostri capitani e difensori, l'istesse armi che avean rivolte contro dello Sforza, le adoperavano ancora verso altri. Leggesi ne' registri di città la taglia di duemila ducati d'oro a chi condurrà a Milano Antonio e Ugolino fratelli Crivelli, i quali avevano ceduta la fortezza di Pizzighettone al conte Sforza669. Leggesi la taglia di mille ducati a chi consegnerà Francesco Borro, che aveva ceduta allo Sforza la fortezza di Lodi.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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