Risposero i collegati che non lo avrebbero permesso, se prima non si restituiva Novara, indebitamente sorpresa. Ritornò l'araldo dicendo, che il re intendeva di passare senza condizione veruna; e che in caso di rifiuto ei si sarebbe fatta la strada sopra i cadaveri degl'Italiani. Questi risposero al re Carlo, che non si sarebbe egli spianata la via così facilmente, come gli era accaduto a Napoli, che lo aspettavano alla prova. Seguì poscia un'azione sanguinosa da ambe le parti, in cui però nessuna ebbe compiuta vittoria. Il re non si aprì l'uscita, né rimase oppresso. Conobbe però il re Carlo che l'impresa non era sì facile, quanto se l'era immaginato. Spedì un araldo chiedendo tregua per tre giorni, onde seppellire i cadaveri, e i collegati l'accordarono per un giorno e mezzo. In sì fatto labirinto trovavasi il re cristianissimo, donde ne uscì il giorno 8 di luglio 1495, fingendo di attaccare l'armata della lega, e frattanto ponendosi in marcia per uno stretto mal custodito dalla parte della Trebbia, e così ritornossene nel suo regno con poca gloria: poiché il re aragonese di Napoli, il quale erasi ricoverato nell'isola d'Ischia, ben tosto ricomparve nella sua capitale, dove fu con applauso e festa ricevuto; ed i presidii francesi, mancando di soccorso, attorniati da un popolo nemico, dovettero un dopo l'altro abbassare le armi e rendersi. Lo storico Voltaire si è lasciato sedurre dall'amor nazionale a segno di essere ingiusto cogl'Italiani in raccontando questa spedizione del suo re; quasi che effeminati, molli, degradati, non vi fosse più fra di noi né coraggio né valor militare.
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