Questo comandante aveva la cognizione del paese, un partito, una passione sua propria per abbattere il duca; avea servito già nella spedizione di Carlo VIII; era in somma il più opportuno generale che il re di Francia potesse scegliere a questa impresa. Il duca non poteva fidarsi né delle forze proprie, né della volontà dei sudditi, per le ragioni già accennate. I soccorsi da Napoli o da Firenze erano incerti e rimoti. L'imperatore Massimiliano, nipote del duca, era di buona fede impegnato per lui; ma il pericolo sovrastava a giorni. Il duca scelse il partito di abbandonare lo Stato e seco condurre nel Tirolo i figli, ricorrendo a quell'augusto. I Veneziani s'avanzavano dalla parte d'Oriente; dall'opposta s'innoltravano i Francesi sotto del Trivulzio: non v'era tempo a consigli. In quel punto venne presentata al duca una lista di quindici primari signori del paese che tramavano contro di lui, e tenevano segreta corrispondenza col nemico.
I fatti erano avverati. Il duca non volle far male alcuno a coloro che avea beneficati ed amava. Prima di abbandonar Milano egli portossi dalla duchessa Isabella, le cedette il ducato di Bari, le chiese il di lei figlio Francesco per salvarlo e condurlo seco nella Germania; ma la duchessa nol consentì. Pensò Lodovico il Moro di confidare il castello di Milano ad un uomo di provata fede, giacché dalla difesa di esso dipendeva la sovranità. Nel castello era riposto l'archivio ducale, vi erano tutte le preziose suppellettili della duchessa Beatrice e degli antecessori, valutate centocinquantamila ducati.
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