Mentre ancora stava il duca parlando dalla loggia ai Com
aschi, erano già penetrati i Francesi ne' sobborghi di Como, con animo di farlo prigioniero; ma per buona sorte avvisato, appena ebbe tempo di balzare in una barca e recarsi a Bellagio.
Gian Giacomo Trivulzi, che da alcuni anni era esule dalla patria, entrò in Milano come generalissimo dell'armata francese il giorno 6 di settembre, quattro giorni dopo che il duca l'aveva abbandonata. Egli si portò solennemente al Duomo a ringraziare l'Arbitro delle cose, di un avvenimento gloriosissimo per esso lui. Tre giorni dopo l'armata francese venne in Milano; e furono collocate le truppe a San Francesco, a Sant'Ambrogio, all'Incoronata. La licenza militare de' giovani soldati francesi era somma in ogni genere; e il Trivulzio pensò di contenerla con fermo rigore nella disciplina. Il Corio ci racconta che per un pane violentemente rapito, due soldati guasconi vennero tosto appiccati a due piante fuori della porta Ticinese; che un altro Francese, per aver rubata una gallina, venne immediatamente appeso; che al Pontevetro sul momento venne appeso un Francese che aveva rubato un mantello; e che ivi pure, senza riguardo né indugio, fu fatto appiccare un cavalier francese, monsieur di Valgis, che aveva poste le mani violentemente sopra di una zitella. Ciò serviva ad impedire quei disordini che avevan reso odioso il nome francese nel regno di Napoli quattr'anni prima; e serviva pure a conciliare la benevolenza de' nazionali verso del comandante.
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