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      Vedendo il Morone deluso ogni sotterfugio, con sommessione dichiarò ch'egli avrebbe data la vita pel servizio del suo natural principe; ma che egli sentiva una ripugnanza invincibile a far cosa alcuna in danno de' Francesi, dai quali era stato favorito. Lodovico lodò la virtù del Morone, lo congedò, ma si conobbe che non ne rimase contento: profecto rationis efficacia victus, manum dedit; attamen,
      dum me dimisit, eum mihi subiratum dignovi, quoniam, ut scis, principes quod volunt, nimium velle solent, et ut plurimum quod juvat magis, quam quod decet, cogitant737. Le lettere del nostro Morone si trovano nella biblioteca del fu conte di Firmian, e meriterebbero di veder la luce, poiché sono l'opera di un uomo di Stato, che ebbe fra le mani i principali affari d'Italia de' tempi suoi; e conseguentemente servono di molto aiuto per la storia.
      Lodovico il Moro stette per due settimane a Pavia per ivi radunare le sue soldatesche, le quali s'andavano ogni dì aumentando, mercé gli Svizzeri e Tedeschi che scendevano dalle Alpi e si ponevano allo stipendio di lui. Milano frattanto era inquietata dalle scorrerie che tentavano i Francesi acquartierati nel castello, malgrado la custodia del cardinale Ascanio; volavano di tempo in tempo le palle sulla città: avvenimento che cinquant'anni prima avea preveduto il buon Giorgio Piatto. Il duca, avendo più di sedicimila Svizzeri, mille corazzieri tedeschi e molta cavalleria italiana, forz'era che tentasse qualche azione. Egli mancava di denaro, né poteva lungamente mantenere al suo stipendio quest'armata.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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