Alla porta Ticinese gli si presentarono i delegati della città, i quali gli offersero lo scettro ducale, la spada e le chiavi della città. Il re era a cavallo, vestito di ferro, con un manto di velluto celeste a gigli ricamati d'oro. Avanti se gli portava una spada sguainata; dodici gentiluomini milanesi lo fiancheggiavano. Dugento gentiluomini francesi, coperti di ferro e con ricchissimi manti, venivangli in seguito. Poi mille fantaccini tedeschi armati, condotti dai loro capitani riccamente ornati, venivangli in seguito. Chiudeva la marcia un corpo di cavalleria. Giunti alla notizia dell'imperator Massimiliano questi avvenimenti, egli spedì a Milano un suo ambasciatore al re di Francia per interpellarlo con qual titolo egli occupasse il ducato di Milano. Il re indicogli la sua spada; giacché non essendo egli discendente dell'ultimo investito, cioè Lodovico XII, non aveva alcun altro titolo da addurre fuori che l'essere discendente ei pure dalla Valentina, madre del di lui avo Giovanni conte d'Angoulême; il quale titolo non era adattato ai principii dell'Impero, né alle leggi del feudo instituito da Venceslao, siccome transitorio ne' soli discendenti maschi. Se l'interpellazione fatta da Cesare aveva l'apparenza di un feciale spedito a intimare la guerra, la risposta del re aveva il significato della disposizione sua per difendersi. Il re, per rassodare sempre più la buona corrispondenza col pontefice, concertò d'abboccarsi con esso a Bologna; partì da Milano, dopo di esservi dimorato cinquantatre giorni, il 3 del mese di dicembre, e il giorno 14 dello stesso mese e dello stesso anno 1515, in Bologna, col papa Leone X si stabilì il concordato famoso, per cui, abolita nella Francia la prammatica sanzione, venne spogliato il corpo della chiesa Gallicana de' suoi immemorabili possessi, e si regalarono il re e il papa vicendevolmente la roba altrui.
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