E a questi soli pregi dee star contento chi avrà la pazienza di leggerlo; ché degli altri molti richiesti dagli uomini dotti di tutti i tempi negli scrittori di storie, e per cui i buoni storici sono sì rari, cominciando dall'imparzialità, si farebbe inutile ricerca in que' quattro grandi volumi. I torti del cavaliere Rosmini verso il conte Verri sono varii e gravi: non lo citò mai, e quel ch'è più, il criticò talvolta senza nominarlo. Il primo rimprovero, come di semplice ommissione, potrebb'essere trasandato, senza quel suo peccaminoso compagno; quantunque abbia pur esso la sua dose di malizia in un'opera, come la sua, lardellata quasi ad ogni pagina di copiose citazioni, dove ha per costume di affastellare l'un dopo l'altro i cronisti della Raccolta del Muratori, e il Bosso e il Calco e il Corio e il Giulini e perfino il Ripamonti, il quale ognun vede che, fuori de' tempi in cui visse, è di una stupenda autorità. Abuserei della pazienza dei lettori se volessi estendermi a dimostrare come e quante volte attinse egli all'opera del Verri, non citandola; onde mi circoscriverò a recare un solo esempio della sua seconda colpa, ma sarà di tale evidenza, che renderà superfluo il dirne di più. Fu quell'esempio già in parte allegato dall'autore dei tre Articoli critici intorno alla storia del Rosmini inseriti nella Biblioteca Italiana (fascicoli LXXXII, LXXXIII e LXXXV, di ottobre e novembre 1822, e gennaio 1823), scritti con savia e sobria dottrina e brusca risolutezza; se non che ai lettori imparziali parvero essi troppo turgidi e rimbombanti, e più strepitosi nel minacciare che nel ferir forti.
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