Capitolo XXV
Francesco II Sforza bloccato nel castello di Milano.
Sollevazioni e stato miserabile de' Milanesi.
Campo della Lega a Marignano.
Morte del Borbone, e saccheggio di Roma.
Disfatta de' Francesi. Pace di Cambrai
(1526) Continuava il duca Francesco Sforza a starsene bloccato nel castello di Milano, d'onde coll'artiglierie, non che colle uscite, inquietava gli assedianti. Nella città comandavano Antonio de Leyva e Alfonso d'Avalo marchese del Vasto, succeduti al Pescara, e anche l'abate di San Nazaro. La plebe amava il superstite unico rampollo de' principi sforzeschi. La sua bontà, il valore che aveva dimostrato, la memoria delle guerre e dei mali sofferti sotto un'estranea dominazione, la serie delle sue sventure, la oppressione in cui tenevasi, tutto disponeva l'animo del popolo ad odiare i Cesariani. S'aggiunse la vessazione incessante colla quale il Leyva ed il marchese del Vasto imponevano taglie, oltre il peso dell'alloggio degl'indiscretissimi soldati. Per lo che, saccheggiate le terre, esausti i sudditi, emigrati i coloni, tutto portava all'impazienza, onde colla forza rispingere la forza. Così accadde; e forse correva il pericolo di una totale distruzione l'armata cesarea, se i nobili avessero secondati i movimenti popolari, invece di reprimerli. Il giorno 24 aprile del 1526 cominciò a rumoreggiare la plebe verso il Cordusio, per avere i fanti della guardia di corte commesse delle violenze nella casa di un popolare, il quale gli discacciò a sassate. I fanti vennero soccorsi da altri compagni, i vicini si unirono in armi; si fece un grido nel contorno: all'armi, all'armi, e si dilatò. Il giorno 25 il movimento divenne maggiore; la plebe sforzò le porte della corte, e poiché erano chiuse, le bruciò; rimasero molti morti, dal castello si fece una sortita, gli Spagnuoli erano confusi.
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