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      Quest'esempio eccitò ben presto un'egual brama nei soldati cesarei accampati nel Milanese: e l'estrema scarsezza dei viveri fra di noi fece nascere un generale fermento ne' soldati, che attribuivano al papa i disagi e i mali che sofferivano, e costrinsero i comandanti a marciare con essi a quella vòlta925. Il Borbone, confidato il Milanese al Leyva, si pose alla loro testa. I soldati l'adoravano. Egli soleva dir loro: Figliuoli miei, sono un povero cavaliere, non ho un soldo, né voi ne avete: faremo fortuna insieme. Una così impensata e potente irruzione di queste forze riunite costernò maggiormente l'animo di Clemente VII, sì che acconsentì ad una tregua di otto mesi coll'imperatore, stipulata coll'opera del vicerè Lannoy, luogotenente cesareo per l'Italia. Spedì allora il Lannoy incontro agli Imperiali coll'ordine di non inoltrarsi, atteso l'armistizio concluso, sotto pena d'infamia. Ma l'armata, pronta a marciare senza capitani, minacciò di uccidere chi parlasse di ordini contrari. Sepulveda porta opinione che il Borbone accettasse il comando di questa armata per disperazione di miglior partito, attesa l'assoluta deficienza degli stipendi; al che concorda eziandio il Grumello926.
      (1527) Partì adunque da Milano il Borbone verso la metà di gennaio del 1527, e andò ad unirsi verso Piacenza coi Tedeschi di Giorgio Frandsperg, seco conducendo cinquecento uomini d'arme, molti cavalli leggieri, quattro o cinquemila Spagnuoli, e circa duemila fanti italiani; i quali, uniti co' tredici o quattordicimila fanti del Frandsperg, formarono un potentissimo esercito; e d'accordo si proposero, come fecero, d'inoltrarsi a Firenze ed a Roma, depredando e saccheggiando per via tutte le città e luoghi del loro passaggio.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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