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      Il viceré Lannoy, a nome dell'imperatore, tentò invano di distogliere il duca di Borbone dall'impresa, ed altamente riclamava l'osservanza della tregua da lui fatta con Clemente VII in nome cesareo. A Carlo V né dovea né poteva piacere la mossa del Borbone e dell'esercito suo verso di Roma, se non per altro, perché nessun utile egli ritraeva dalla oppressione del papa, e sommo odio acquistavasi presso tutta la cristianità.
      Appena il duca di Borbone fu alle mura di Roma, che fu ai 5 di maggio, fece apprestar le scale, ed egli alla testa, spinse l'intiero esercito ad entrar per forza dalle mura più basse nella città; ma ferito in un fianco da un'archibugiata, rimase estinto nella fresca età di trentott'anni. Il principe Filiberto di Oranges gli subentrò nel comando, e diresse il sacco di Roma, che durò più settimane. Il duca di Borbone, prima di dare la scalata a Roma (come racconta il Grumello)930, disse a' suoi capitanei che era sicuro che tutti seriano richi et se caveriano la fame, ma li ebbe domandato una grazia che non volessero saccheggiare dicta città se non per un giorno, che li faceva promissione di darli tutte le sue paghe avanzavano con Cexare, che erano circa dece overo dodece; et così fu stabilito per li capitanei et militi cexarei... Il povero Borbono, quale haveva animo di salvar la città da le crudelitate, et forse contro la voluntà del Magno Idio, che voleva che Roma in tutto fosse distructa, per li horrendi peccati regnavano in essa città... rimase sul colpo.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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