Giunta a Carlo V la nuova del sacco di Roma, ordinò pubbliche preghiere in tutta la Spagna per la liberazione del sommo pontefice, assediato in castel Sant'Angelo dalla sua armata. Forse queste dimostrazioni non furono una ipocrisia, come taluno ha creduto; ipocrisia che non avrebbe fatto altro effetto, se non quello di macchiare la gloria di Carlo V, degradandolo alla furberia d'un meschino e debole principe. Probabilmente né Carlo V comandò quest'impresa, né se ne compiacque; poiché l'insulto all'inerme sacerdozio non poteva ascriversi ai fasti della gloria, e Carlo imperatore troppo la conosceva e l'amava. Che che ne sia il papa, per liberarsi, fu costretto a sottoscrivere nel mese di giugno una capitolazione imperiosa e gravosissima col principe d'Orange e co' principali offiziali, oltre al pagare fra tre mesi all'armata quattrocentomila ducati.
Mentre il duca di Borbone aveva condotte a Roma le principali forze di Cesare, e che stavasene il Leyva a Milano con pochi armati, i Veneziani s'innoltrarono, lo Sforza uscissene dal Cremonese, e si pensò di cogliere il momento per discacciare l'imperiale potenza dall'Italia. Anche il re cristianissimo a tempo assai opportuno, cioè verso la fine di luglio, mandò in Italia Odetto di Fois signore di Lautrec, con mille uomini di armi e ventiseimila fanti. Passò questi le Alpi con apparenza di liberare il papa; ma si trattenne in Lombardia, prese Alessandria e Vigevano, e s'impadronì della Lomellina. Genova pure ritornò a' Francesi, che ne affidarono il comando al maresciallo Teodoro Trivulzio.
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