Così Clemente, bilanciandosi accortamente fra le contese di due grandi emuli che sconvolgevano l'Europa, senza dichiararsi amico o nemico d'alcun di loro, li faceva servire all'ingrandimento della sua famiglia, coglieva le occasioni, non si esponeva alle vicende, non dimenticava il sacco di Roma. Tali sono i sentimenti coi quali termina questo punto di storia un vivente scrittore nel tomo III di un suo inedito manoscritto, che abbiamo altrove annunciato950.
Nel corso di quest'anno 1533 accadde in Milano un'atrocità che non inopportunamente si vuol qui registrare. Un gentiluomo milanese, della famiglia dei Maravigli951, erasi stabilito in Francia sino dal regno di Luigi XII, e vi si era arricchito servendo quel monarca e il successore Francesco I. Egli era zio del gran-cancelliere Francesco Taverna, cui vedemmo sostituito al Moroni. Taverna andò per commissione in Francia; e trovandosi a Fontainebleau col re, si concertò che questi facesse risedere in Milano un suo ministro, il che sarebbe stato di genio del duca e di utilità al re, al quale non poteva essere indifferente il vegliare sull'Italia. Questa proposizione piacque a Francesco I, e, innoltrandosi per eseguirla, si conchiuse che non convenisse, per non insospettire Carlo V, né spedire un Francese né dargli uno scoperto carattere ministeriale. Maraviglia venne proposto, non potendo essere misterioso il ritorno suo nella patria, e si stabilì ch'egli verrebbe munito di doppie lettere, che le credenziali le conserverebbe secrete e soltanto mostrabili all'occasione, e le lettere da palesarsi sarebbero di semplice raccomandazione del re al duca.
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