Il deciso contegno del Leyva lasciò il comodo alla riunione dei rinforzi imperiali, che l'imperatore, irritato, volle comandare in persona. Egli giunse celeremente in Lombardia, e senza entrare in Milano, portossi da Pavia in Asti per vegliare dappresso i Francesi. In meno di tre mesi si trovò forte di oltre cinquantamila combattenti sotto il comando di rinomati generali, Antonio da Leyva, Alfonso d'Avalos marchese del Vasto, Don Ferrante Gonzaga viceré di Napoli, e il duca d'Alba. Fra i principi che seguivano l'armata cesarea contavansi i duchi di Savoia, di Baviera e di Brunswich, ai quali un accidente fece aggiungere Francesco marchese di Saluzzo; ed eccone il come. Inteso che ebbe il re di Francia il grosso armamento di Carlo, richiamò a sé l'ammiraglio de Brion, per l'assenza del quale il comando delle truppe francesi nel Piemonte rimase al marchese di Saluzzo. Il marchese si lasciò sedurre da alcune profezie che si sparsero, le quali assicuravano che in quell'anno il re di Francia o sarebbe preso o sarebbe ucciso. Il marchese, persuasissimo della profezia, credette di non dover combattere per un principe abbandonato dal cielo. L'amicizia del re, la gratitudine per l'ordine di San Michele, di cui l'avea decorato, la confidenza d'avergli affidato il comando del suo esercito, vennero rese inefficaci dal fanatismo per la profezia; se pur questa non fu un pretesto. La religione guida l'uomo alla virtù; l'abuso della religione lo conduce a soffocar la natura, a calpestare i doveri più sacri, e per fino a perdere il rossore nel commettere il delitto.
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