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      Si manifestò dapprima nei monti di Trento, e propagatasi a Verona e Mantova palesò i primi suoi segni verso la fine di luglio in Milano, dove da piccola scintilla divampò in un baleno a vastissimo incendio. Egualmente pronti, benché non tutti provvidi dei pari, furono gli ordini dati dalla pubblica autorità. Le unzioni venefiche che illusero la rozzezza de' Romani nel principio del quinto secolo dalla loro esistenza, e che centoventiquattro anni dopo l'epoca della quale trattiamo, furono argomento in Milano stessa della più orrenda tragedia, eccitarono l'attenzione del marchese d'Ayamonte, che, con editto del 12 settembre, proposti insigni premii ai delatori, minacciò gravissime pene ai rei; e per la nissuna scoperta di essi si lusingò d'averli frenati. Ma fuori di questo tributo pagato dal saggio governatore all'ignoranza del secolo, tutti gli altri e non pochi provvedimenti emanati sì da lui che dalla magistratura civica resero testimonianza non men di zelo che di saviezza. Era allora vicario di Provvisione Giambattista Capra, che meritò la riconoscenza de' posteri pel bene che fece1024. Si ordinò che ciascuno non uscisse dalla sua casa. Frequenti erano le guardie per tenere in freno il popolo; le forche, erette in più luoghi della città, indicavano ai disobbedienti la qualità e la prontezza del castigo. Furono fissate le persone cui era permesso di girare liberamente, sì per servire i relegati nelle case, che per ogni pubblico bisogno. Era cosa miseranda il vedere una città pocanzi soprabbondante di popolo, lieta di ogni dovizia, florida, vivace, sfarzosa, frequentatissima, ridotta in un istante in un'immensa solitudine.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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