Teneva lontani i medici. Ogni sabbato sentiva la messa a San Celso; le altre volte nella cappella pubblica. Per via amava assai d'essere corteggiato da' ministri, né gliene mancava mai buon numero; e amava d'essere ascoltato a rimproverarli, mentre, strada facendo, parlava d'affari. Egli era frizzante e motteggiatore. Aveva una prodigiosa memoria. Era facile ad ammettere chiunque, ma riusciva difficile il parlargli, perché d'ordinario, interrompeva e rimandava malcontenti e strapazzati. Sebbene non inclinasse ai divertimenti, pure dilettavasi delle pubbliche feste e de' balli, come mezzi di palesare la sua magnificenza, e vi si tratteneva tutta la notte. Il suo carattere era quello degli uomini forti e superbi, dispotico. Non seguiva altra legge che il suo volere. Fece carcerare il tesoriere, perché pagò il dovuto senza l'ordine suo; relegò un questore nel castello di Finale, perché co' suoi amici avea parlato in di lui biasimo; fece porre nel castello di Milano il vicario e i XII di Provvisione, perché non gli consegnarono gli atti che cercava, e un'altra volta perché si opposero ad una gravezza da lui posta senz'assenso della corte1053. Da sé e indipendentemente dal senato condannava alla galera; né valsero a frenarlo le rimostranze di quella suprema magistratura, né le ammonizioni di Madrid. Vegliava sul fisco per incassare, e le paghe non si davano che quasi per grazia; onde nacquero due vizi, corruzione e adulazione, inevitabili dovunque i pagamenti sono incerti e debbonsi al favore.
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