Negli affari ch'ebbe a trattare in corte di Roma e ne' varii conclavi ai quali intervenne, si meritò lode di zelo e d'accorgimento; e nelle emergenze di dispareri giurisdizionali si condusse generalmente con moderazione; che se nel fatto che vado a narrare si mostrò dapprima animato da soverchio calore, non fu tardo a piegarsi al più maturo consiglio della saviezza.
Era stato ucciso con una pistolettata il cavaliere Uberto dell'Orto su la porta del procuratore Gadolini, vicino a San Giorgio in Palazzo. Il sospetto cadeva sopra un Landriani che si pose nell'asilo di San Nazaro. Il governatore Ponze di Leon ordinò che il Landriani venisse ad ogni modo imprigionato, e gli sbirri lo presero sull'altare mentre s'era attaccato al tabernacolo. L'arcivescovo ne fece fare acerbe doglianze, accolte dal governatore trascuratamente. Minacciò scomuniche e interdetti, ma il governatore non gli badò. Fece intimare il primo monitorio al capitano di giustizia Clerici, e fu sprezzato. Intimò il secondo monitorio, che venne accolto come il primo. Venne un prete per intimare il terzo monitorio, e gli alabardieri del capitano di giustizia lo ferirono. L'arcivescovo era smanioso. Il governatore gli fece dire che se scomunicava avrebbe fatto impiccare alle porte dell'arcivescovato il Landriani. Stando così le cose, entrò di mezzo il presidente del senato, Bartolommeo Aresi; e persuase all'arcivescovo pensieri più miti, poiché alle chiese si deve rispetto, ma non per ciò che servano di ricovero agli scelerati; che in Venezia non si conosceva immunità, ed eravi anche per le scomuniche l'esempio di Venezia stessa nell'interdetto di Paolo V; e in fine che questi privilegi, non avendo altro appoggio che la tolleranza del re di Spagna, non conveniva di compromettere la dignità sua con maggiore insistenza.
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