Richiedevasi l'animo del conte Cristiani per condurre a termine e fermare tali idee. Questo sempre più gli acquistò il cuore e la confidenza dell'augusta sovrana, della quale teneva delle firme in bianco da riempire, occorrendo un dispaccio. Sin ch'egli visse, lasciò tutte le apparenze al duca, che ognuno credeva che comandasse. Questi mezzi, uniti alla sua mente e operosità, lo fecero trionfare de' nemici. Era uomo generoso, e fedele alla sua parola. Aveva la politica grande, e non pareva né imbarazzato né circospetto. Era capace di domandare scusa anche ad un povero, se in un impeto di collera l'avesse ingiustamente offeso. Chi riceveva un'ingiustizia da lui per precipitazione o prevenzione, era sicuro, non solamente d'essere risarcito, ma di fare qualche fortuna. Non era per altro né colto, né sensibile in conto alcuno al merito di un letterato o d'un artista. Sapeva il latino, l'italiano, la legge e un po' di storia e nulla più; ma sapeva l'arte di conoscere gli uomini.
(1759) Fu dato in successore al conte Cristiani nella carica di ministro plenipotenziario nella Lombardia il conte Carlo di Firmian, che giunse in Milano, il 16 giugno del 1759. Figlio cadetto di una famiglia nobile tirolese, egli avea passato la sua gioventù in Roma come aspirante nella carriera prelatizia senza far fortuna. Di carattere pusillanime e di scarsi talenti, amava più la rappresentazione che gli affari, ed avea l'arte di coprire le qualità che non possedeva, colla compostezza, colle scarse e misurate parole, e con un officioso sussiego.
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