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      Lib. I, Epist. 82. S. Greg., Operum, tom. 2, col. 565.
      32 Al reverendissimo e santissimo confratello Ansperto, arcivescovo milanese.
      33 Troppo imperiti mostraronsi alcuni interpreti, dicendo: perì questa città, rovinata è la chiesa, non vi ha più ragione alcuna di vivere. Anzi havvi motivo di vivere più giustamente e più santamente, perché Dio onnipotente, che con grande pietà queste cose dispone, non diede già in mano ai nemici la città che in voi consiste, ma le sole abitazioni; né la chiesa sua, che è veramente la chiesa, lasciò che consumata fosse dall'incendio, ma affine di correggerci permise che abbruciato fosse il ricettacolo della chiesa... Perciocché, dopo quella ruina, tanto grande e lagrimevole, ecco il sommo suo sacerdote salvo rimane, intatto il clero; e la plebe stessa, sebbene viva in continuo timore e mesta, conserva la libertà... Non perimmo noi stessi, ma quelle cose che nostre sembravano, e che o il predatore rapì o il ferro o il fuoco consumò... Conciossiaché, rotte le mura, innanzi ai nemici armati e vigorosi, i popoli inermi... fuggirono... Consoliamoci adunque, o fratelli, né tanto poi sospiriamo le case distrutte, giacché vediamo la riparazione delle case riserbata ne' loro padroni... Il signore adunque temperò verso di noi la sua vendetta, cosicché, diroccata la città, devastate le campagne, sminuiti gli averi, né le anime nostre né i nostri corpi furono offesi... E per ciò non dubitiamo che o noi o i nostri posteri Dio non possa riparare delle cose perdute.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
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