Giulini, tom. IV, p. 34.
192 Gonfiato quindi per il fasto della sua legazione, volle nelle pubbliche funzioni essere preferito al nostro arcivescovo; ma il popolo, sopportare non volendo che nella propria diocesi fosse l'ambrosiana dignità violata, cominciò a fremere e a tumultuare all'intorno. Spaventato da quel timore, l'Ostiense si ritrasse dal suo proposito, ed ultimò i negozi urgenti, e varie pene, come vendicatore, infliggeva a coloro che alcun delitto commesso avevano, a norma della gravità del loro fallo; altri, accordando loro una dilazione, ad altro giudizio riserbava. Finalmente, come nuovo censore ed arbitro delle cose nostre, egli cangia le antiche consuetudini; nuove leggi introduce; le conferma colle sue lettere e co' suoi sigilli, e queste forza a soscrivere l'arcivescovo e gli ordinari di Milano, minacciando di suscitare il popolo, qualora non obbedissero. Tristan. Calch. Hist. Patr., lib. VI, p. 132.
193 Dodici scudi.
194 Rer. Italic. Scriptor., tom. IV, p. 26.
195 Giulini, tom. IV.
196 Oh Milanesi insensati! Chi vi ha affascinati? Ieri acclamaste il primato di una sola sede; oggi confondete lo stato di tutta la Chiesa; veramente mostrate di avere a schifo una pulce, ed un cammello inghiottite. Forse queste cose meglio non disporrebbe il vescovo vostro? Voi direte per avventura: veneranda è Roma nell'apostolo. Lo è diffatto; ma non è da disprezzarsi Milano in Ambrogio. Che sì che queste cose non sono scritte senza motivo nei Romani Annali, perciocché dirassi in avvenire Milano assoggettata a Roma.
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