342 Le mura della città abbatte e tutto spiana al suolo. Nella citata raccolta del Menckenio, allo stesso volume, colonna 1708.
343 I Milanesi però, non potendo resistere ad impeto così grande, stanchi dalle frequenti devastazioni, dalla fame, dalla sete, da diverse perdite, dai tormenti e dalle uccisioni dei fratelli e degli amici loro, cagionate dai principi tanto della Lombardia, quanto della Teutonia, cercano il modo di trovare grazia presso l'imperatore: ad essi così si risponde dai principi: che in alcuna guisa non potranno ottenere la grazia dal signor imperatore, se dapprima non abbiano nelle mani dello stesso signor imperatore consegnata Milano. E per consiglio dei fedeli suoi vengono alla città di Lodi, e, sedendo l'imperatore sul suo tribunale coi suoi principi, portando innanzi ad esso le chiavi di tutte le porte milanesi, alla presenza di esso e di tanti principi, co' piedi nudi si prostrano a terra. Per comando dell'imperatore sono avvertiti di levarsi in piedi; e tra essi Aluchero di Vimercate così comincia a parlare: Peccammo, ingiustamente facemmo, perciocché contra l'imperatore de' Romani, signore nostro, movemmo le armi; riconosciamo il nostro fallo, chiediamo perdono; il collo nostro assoggettiamo alla vostra imperiale maestà; le chiavi della città nostra, città antica, alla imperiale maestà offriamo, e adorando le pedate vostre, con umile e supplichevole preghiera chiediamo che abbiate pietà di città così grande, di antichissima opera dei passati imperatori, per amore di Dio, di sant'Ambrogio e di que' santi che dentro vi riposano, e che l'imperiale pietà si degni di accordare pace ai sudditi soggiogati.
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